Cap 13. Surrogati

Apparecchi elettronici, surrogati di vita reale, risucchiano tempo in spazi virtuali, dilatano amicizie fittizie, gratificano dissociati cronici, contraggono il linguaggio e quindi mortificano il pensiero e gli stati d’animo, favoriscono travisazioni e nuovi drammi, scarnificano l’essere umano, anche il più accorto, svuotando di contenuto la forma e fanno del sé un io pubblico che non ha più intimità, un io fittizio che non ricorda più di essere la voce nel silenzio, quella coscienza in divenire che nella forma muore.

Il virtuale richiede messaggi brevi per una fruizione fluida del flusso di informazioni, visualizzate a cascata solo con le anteprime delle notizie, che diventano così la notizia stessa, ridotta al titolo accompagnato dall’immagine cui assegnare il proprio gradimento. Pensieri brevi. Azioni brevi. Toccata e fuga dalla realtà. Dopo lo slow food, giunga la slow life!

Vedo trascrivere aforismi, citazioni, proverbi, sutra, motti, epifonemi, epifrasi e chi più breve trovi un pensiero più in fretta lo condivida. Spesso menzogne trascritte per stupire. E vedo che alle parole si dà più importanza che alle azioni. Che questi neo-scribi ed i loro lettori ad elevato gradimento possano mangiare le idee che riportano. Che possano farle proprie!

Mia figlia si è persa nella vita virtuale che le dà quelle gratificazioni che la vita reale non le ha permesso, chiusa com’è in casa e dissociata a scuola. Vive emozioni intense per piccole cose, esagera le reazioni a queste emozioni, intraprende relazioni d’amicizia lontane. Non ha desiderio di sapere, di leggere, studiare. Le basta quel piccolo mondo che ha costruito in spazi interstiziali. La dissociazione è prodotta dalla sua immaturità culturale per l’età che ha. I compagni la considerano una bambina, ma come loro ha gli ormoni che le esplodono in corpo. Anela ad amare, a morire, ad affermarsi. Nel turbine di queste emozioni, si chiude a riccio. Mi dispiace per lei. So che potrei aiutarla. So come potrei aiutarla, in modo non invasivo, invisibile. Ma il mio aiuto non le sarebbe da spinta ad una autonomia maggiore. Attendo che l’anno scolastico si concluda. Le offro l’opportunità di nuove attività che possano portarle amicizie reali nuove. Ma il metodo di studio che rifiuta, come rifiuta la scuola, è qualcosa che non posso imporre senza che desideri acquisirlo. Attendo. E la osservo. Controllo che non faccia azioni azzardate. Di più non posso fare.

Mia madre mi controlla. È terribilmente invasiva. A volte mi alza le mani. Vorrebbe io studiassi, che fossi ordinata, che uscissi all’aria aperta, che avessi amici reali. Come se i miei amici su facebook non fossero reali! Con una mia amica “virtuale” ci siamo incontrate a Roma e ci siamo amate subito. Abbiamo gli stessi interessi, ci capiamo. Mentre gli amici reali, ovvero i miei compagni di scuola, non sono interessanti. Si credono già adulti e saputelli, fanno i duri con i deboli, si vantano di quello che possiedono e non si accorgono di non possedere il cervello. Io sono diversa. Non ho alcuna intenzione di contrastare l’autorità, quella scolastica, si intende. Perché quella materna diventa ogni giorno più opprimente. Sono diversa perché il mio mondo non è fatto di oggetti materiali, ma di visioni immaginarie. A me piace disegnare e inventare storie. Dicono che sono immatura. Che sono ancora una bambina non adatta al liceo. Come se la maturità, la coscienza, giungesse ad una precisa età e soprattutto fosse voluta. Posso anche volerla, ma mi sta bene non averla. Se la maturità sottintende che devo vestirmi con gonne e truccarmi, che devo parlare di uomini o di cronaca e politica, preferisco rifugiarmi nel mio mondo che dicono “infantile” e che invece è ricco di poesia, mentre il loro è materialista, crudo e sporco. Ho solo tredici anni, ma non sono più una bambina. Credo che a scuola, come a casa, avrebbero dovuto rispettare i miei tempi lenti. Avrebbero dovuto cullarmi ancora un po’ di più. Invece, esigono quotidianamente un’attenzione e un impegno che non sono pronta a dare. Avrei voluto dei professori più attenti all’educazione, più genitori che insegnanti, perché la scuola, secondo il mio modesto parere, dovrebbe parlare della vita che ci circonda e prepararci ad affrontarla e conquistarla. E avrei voluto dei genitori più impegnati nel fare rispettare le regole che formulano, meno inclini ai rimproveri e più presenti nella condivisione terrificante dei compiti per casa. In fondo, questa scuola compitificio è un lascito che non abbiamo creato noi. È opera loro. Non credo sia normale che io debba andare a scuola tutta la mattina e poi passare tutto il pomeriggio chiusa nella mia stanza a svolgere compiti fino all’ora di cena. Quando avrei avuto il tempo di fare le cose che mi interessano, se non me lo fossi preso con la prepotenza? Io le voglio bene, dico a mia madre. Ma vorrei non mi costringesse, a volte persino con la violenza, a fare cose che detesto soltanto perché lei crede siano importanti, come uscire per andare al mare e prendere sole, così che il mio corpo possa sintetizzare la vitamina D. Cosa può importarmi della vitamina D? Il mio corpo sta bene. Non mi sono mai ammalata, pur amando restare chiusa in casa. Mi racconta della sua infanzia vissuta per strada con altri bambini a inventare giochi con pietre, corde e gessetti. Dimentica che per strada mi hanno falciato una gamba, ormai guarita, e che comunque per strada non gioca più nessuno, dal momento che le strade sono sporche, assolate e tristi. Gli adulti utilizzano il mondo virtuale in modo diverso da come lo utilizzano i miei coetanei. Inventano vite parallele nelle quali sono forti, felici, belli, soddisfatti. Evadono dalla realtà che non li soddisfa. Cercano i loro amici di infanzia. Sono malinconici. Patetici per lo più. Io nel virtuale gioco come faceva lei coi gessetti e le corde. Conosco altre persone, ma veramente. Ci confrontiamo come fossimo nello stesso spazio reale. Ci arrabbiamo, litighiamo, ci amiamo, scherziamo, esattamente come faceva lei davanti alla tv coi suoi amici reali. Reali, si intende, come lo sono i miei, che hanno nomi, facce, sentimenti e idee. E che a volte mi va di incontrare.

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